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Probo, Marco Aurèlio.

Imperatore romano. Si hanno scarse notizie sulla sua giovinezza e sulla sua rapida carriera militare, che lo portò ad assumere incarichi di grande importanza. Nel 276 fu proclamato imperatore dalle sue legioni, contro la candidatura di Floriano; dopo l'uccisione di quest'ultimo, P. venne riconosciuto anche dal Senato. Durante il suo governo intraprese una difficile operazione di pacificazione e di riordinamento interno dell'Impero, soffocando alcune rivolte intestine, come quella di Giulio Saturnino. In seguito sconfisse i Goti della penisola balcanica, intraprendendo poi una lunga guerra in Gallia contro gli Alamanni, i Lugi e i Franchi, che riuscì a sconfiggere nel 277-78. Subito dopo combatté contro i Burgundi e i Vandali, penetrati nella Rezia; passò poi nella Tracia, assicurando il confine del Danubio contro le incursioni di Sarmati e di Goti. Nel 280 si recò in Oriente, dove nella Licia e nella Panfilia era scoppiata la ribellione degli Isaurici; per garantire la tranquillità e l'ordine interno, vi stanziò veterani come coloni. P. usò spesso la tecnica di accogliere le tribù barbare entro i confini dell'Impero, con funzione di cuscinetto contro le pressioni esterne; nel 280, lungo il confine della Tracia, lasciò che si stanziassero numerose tribù di Bastarni, premuti alle spalle dai Goti, e nuclei di Gepidi, Grautungi e Vandali. Nel 281, raggiunta una relativa sicurezza, celebrò a Roma un grandioso trionfo; in seguito si dedicò a un'intensa opera di riordinamento interno, allo scopo di rafforzare il potere dell'imperatore pur mantenendo buoni rapporti con il Senato. Rivolse una grande attenzione all'esercito, che mantenne sempre attivo, impiegando i soldati anche in lavori non necessariamente militari. In tal modo, tuttavia, si inimicò i soldati che, mentre preparava una grande spedizione contro i Persiani, lo uccisero. P. realizzò anche opere di utilità pubblica (opere di bonifica, di irrigazione, impianto di vigneti in molte regioni, completamento della cinta muraria di Roma iniziata da Aureliano) (Sirmio 232-282).